Come riconoscere la violenza psicologica nella coppia

Come riconoscere la violenza psicologica nella coppia

La violenza (psicologica e fisica) è un tema che tocca punti davvero scomodi dell’animo umano. Il Wilding, proprio per offrire strumenti adatti a reagire alla violenza psicologica, è stato elaborato da Mario Furlan in qualità di esperto in materia di reazione alla violenza. In questo articolo Mario offre numerosi spunti di riflessione e strumenti di consapevolezza per iniziare a reagire.

In generale la violenza, qualsiasi forma di violenza, in realtà, inizia sempre con una natura psicologica e solo quando si è completato il ciclo (rapido o lento) sul piano psicologico allora entrano in gioco i fattori fisici che conducono alla violenza fisica. In questo articolo cercheremo di fornire strumenti di consapevolezza per tutte quelle persone interessate all’argomento. Daremo:

  1. una definizione della violenza
  2. indicazioni legali sul tema violenza psicologica
  3. uno sguardo particolare alla violenza psicologica familiare
  4. alcuni elementi specifici sulla violenza psicologica di coppia
  5. una spiegazione del meccanismo che è alla base di questo fenomeno
  6. forniremo indicazioni pratiche per reagire
  7. concluderemo con la testimonianza di una donna che ha reagito

Dunque, andiamo con ordine: cerchiamo prima di tutto di capire cosa sia la violenza, in particolare quella psicologica.

Definizione di violenza psicologica

L’articolo 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 definisce la violenza in generale come «Qualsiasi atto che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata».

La violenza quindi si può definire come “qualsiasi coazione fisica o morale esercitata da un soggetto su un altro al fine di indurlo a **subire o a compiere atti **che non avrebbe altrimenti liberamente consentito o commesso”.

La definizione generale è chiaramente riferita a tutte le forme di violenza: da quella fisica (facile da individuare) a quella psicologica. Emerge chiaramente che in caso di violenza psicologica il danno non è visibile ma è parimenti reale: si colpisce la personalità della vittima, se ne compromette il diritto ad esprimersi, si colpisce la sua dignità personale: così sono violenza psicologica tutte le forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti volti a ribadire continuamente uno stato di subordinazione e una condizione di inferiorità.

La violenza psicologica è un reato

Premettiamo che tantissime vittime di violenza sottovalutano il fatto che il loro carnefice è, a tutti gli effetti, un criminale.  E non ci stiamo riferendo solo alla violenza fisica, che spesso viene tollerata, ma soprattutto alle varie forme di violenza psicologica che nell’opinione comune non sono neppure considerati reati.

Ciò che conta è: anche la violenza psicologica è reato. Il codice penale stabilisce infatti pene anche gravi a chi esercita forme di violenza psicologica su una vittima. Ecco un articolo di approfondimento sulle varie leggi e pene legate alla violenza psicologica: la violenza psicologica è reato.

Dalla violenza psicologica in generale a quella familiare

L’ambito della violenza è molto ampio e comprende fenomeni molto diversi: violenza di branco (ad esempio bullismo), violenza di massa (ad esempio negli stadi), violenza sul luogo di lavoro (mobbing) e violenza economica (ad esempio rapine), violenza a sfondo sessuale, violenza familiare o domestica (ad esempio sui minori o sulle donne). In questo articolo ci limiteremo a trattare della violenza psicologica sulle donne in ambito domestico, ovvero un tipo specifico di violenza psicologica familiare.

La violenza psicologica e fisica nella coppia (sulle donne)

La violenza fisica sulle donne è un fenomeno dilagante e tremendo, indice di un malessere sociale crescente. Ma ciò che va ben compreso, per intendere il fenomeno è che la violenza fisica è solo il risultato della violenza psicologica.

In generale abbiamo detto che ogni fenomeno di violenza termina con atti fisici: schiaffi, pugni, calci e altre manifestazioni di potenza che un carnefice esercita su una vittima. E sempre in generale abbiamo anche detto che tutti questi atti sono solo la conclusione di un processo che è iniziato molto prima sotto forma di violenza psicologica.

Questo nesso fra violenza psicologica e violenza fisica è ancor più forte nell’ambito della violenza domestica sulle donne. In questo caso il processo è particolarmente atroce, lento e corrosivo: inizia con forme sottili e quasi indistinguibili dal normale conflitto presente in ogni coppia. Col tempo la violenza psicologica gonfia, si trasforma in disprezzo e, giorno dopo giorno, si dirige verso forme di violenza fisica. Perciò, se vogliamo comprendere il meccanismo (e vogliamo capire come spezzarlo) è necessario fare un passo indietro dalla violenza fisica e tornare alla genesi e allo sviluppo della violenza psicologica.

La violenza psicologica sulle donne: origine e sintomi

La violenza psicologica, come accennato, alla sua origine, è difficile da distinguere da un normale conflitto di coppia. Ma ci sono indizi che possono aiutare a individuarla. E questi sintomi di violenza psicologica sono collegati alle cause che, molto spesso, spingono un partner a trasformarsi in un carnefice.

Gli indizi più deboli e quasi impercettibili sono le prime critiche in forma generale. Una critica generale è molto diversa da una lamentela su un preciso ambito o un fatto. Ad esempio un uomo che dice alla sua donna: “Sei sempre troppo carina con gli altri uomini” sta muovendo una critica generale, che è molto diversa da:”Ho l’impressione che oggi tu abbia fatto la carina con Tizio”. Si tratta del generalizzare, del dare un giudizio sulla persona e non sul comportamento. La causa di queste generalizzazioni è spesso l’insicurezza che porta il partner a credere di aver capito un tratto generale (negativo) della sua partner. Questo è solo un esempio di un primo indizio sottile che può preludere alla formazione di un rapporto di carnefice-vittima, ma in generale il primo stadio di violenza psicologica passa per una serie di critiche “generali” mosse verso il partner.

Lo stadio successivo, che si verifica quando la vittima non ha preso alcuna contromisura nei confronti di queste critiche, è una forma di aggressività nel dialogo, durante i discorsi. Anche questo è solo un sintomo, ma se trascurato è il preuspposto di un rapporto che prende una piega morbosa più grave. Non sempre questo stadio sfocia in forme gravi, ma in genere le forme gravi passano da questo stadio.

A questo stadio la violenza psicologica prende la forma del predominio nel discorso, del mettere a tacere ogni risposta, del rendere la vittima incapace di sostenere le sue ragioni. Il carnefice sta logorando la sicurezza della vittima, sta facendo in modo da convincerla di essere “incapace” “stupida” “sbagliata” sta cercando di crearle dei sensi di colpa e di renderla inoffensiva sul piano della relazione.

Dalla critica generale poi si passa facilmente al vero e proprio disprezzo. Offese, aggressioni verbali, accuse infondate e ossessive. Il carnefice è ormai sicuro di non subire reazioni dalla vittima (l’ha già resa inoffensiva nello stadio precendete) e adesso può disporre di lei a suo piacere. Può ingiuriarla, accusarla, ridicolizzarla senza che la vittima possa controbattere o reagire. Il disprezzo è uno stadio già più visibile: le continue offese, le continue manifestazioni di disgusto e di odio sono sintomi di una situazione ormai grave.

Il grado di violenza psicologica è già alto, ma c’è un passaggio successivo. L’ultimo stadio di violenza psicologica, che prelude, in genere, al finale violento sul piano fisico, è l’aggressività psicologica che inizia a mostrare tratti di violenza fisicaurla, **gesti inconsulti **(inizialmente diretti verso cose e non ancora la vittima), offese pesantissime accompagnate da minacce e da gesti atti a dimostrare forza fisica. A questo punto il carnefice sta “saggiando” la vittima. Essa è in balia e dunque il carnefice sente che potrà farle sempre più violenza senza subire alcuna reazione. Sa di poterla tiranneggiare, offendere, accusare senza che essa possa in alcun modo sfuggire alla sua rete.

L’ultimo stadio descritto in genere prelude ai primi attacchi fisiciSchiaffi, spinte. Che poi si trasformeranno in pugni e calci. Il Wilding, benchè sia una forma di autodifesa semplice poiché istintiva perfettamente adatta a respingere anche anche un attacco fisico, si propone di liberare la vittima da questo ruolo ben prima: il Wilding vuole aiutare a prevenire la violenza fisica insegnando agli allievi gli strumenti per spezzare il meccanismo della violenza psicologica ben prima che sfoci in violenza fisica. Per capire come sia possibile ottenere questo risultato, capiamo meglio questo meccanismo.

Il meccanismo della violenza psicologica nella coppia

Come emerge dalla descrizione delle varie fasi della violenza psicologica nella coppia è chiaro che non siamo di fronte ad un evento ma ad un lento processo in progressivo deterioramento. La violenza sulle donne in ambito domestico è un meccanismo che cresce nel tempo, spesso anni, un percorso di violenza psicologica che si alimenta sempre più fino a scoppiare in eventi traumatici e incontenibili di violenza fisica. Ciò che più conta sottolineare qui è questo: la colpa del carnefice è chiara, ma c’è una responsabilità della vittima? Purtroppo la risposta è sì: anche la vittima è, in parte, complice.

Abbiamo visto infatti che il carnefice attraversa varie fasi in cui mette alla prova la resistenza della vittima.

Più la vittima subisce senza reagire, più il carnefice si sente forte, potente, sa di poter osare sempre di più. Dal punto di vista del carnefice, se la vittima non reagisce “acconsente” e perciò il carnefice si sente autorizzato a continuare la sua escalation di violenza.

Il meccanismo della violenza psicologica è una spirale. Se da un lato c’è una carnefice sempre più aggressivo, dall’altro c’è una vittima sempre più “docile”. Infatti spesso le donne vittima di violenza si rendono conto troppo tardi di essere ormai diventate vittime e a quel punto credono che sia ormai tardi. Hanno paura di subire un trattamento sempre più duro e, per evitare di peggiorare la situazione, credono sia saggio essere remissive, e cercano di “stare buone“. Trangugiano offese e accuse, subiscono schiaffi e maltrattamenti, e rimangono convinte che la situazione migliorerà se loro sapranno essere “più docili”. Il carnefice a questo punto è vittorioso: la vittima si impone da sola il ruolo, si addossa la colpa di ciò che accade. Questo è il lavaggio mentale che il carnefice è riuscito a operare nella psicologia della vittima. Per questo, se si dubita di avere le risorse per spezzare questo meccanismo, è importante chiedere aiuto.

Come reagire alla violenza psicologica

Dunque, bisogna reagire, ma come? La responsabilità della vittima è di non volere o non sapere come reagire. Non vuole perchè si è già arresa. Il primo passo dunque è trovare la volontà di reagire. Ma spesso non è facile. Se non sa come reagire, allora può imparare. Per questo la vittima deve imparare a reagire.

Nel caso una donna abbia ormai capito di trovarsi in una spirale pericolosa è fondamentale che proceda con decisione. Ma per arrivare a questo è necessario che la “vittima” percorra davvero un cambiamento psicologico. Noi ci auguriamo che trovi strumenti per farlo ma se una donna sentisse il bisogno di aiuto sappia che proprio questo è l’obiettivo del Wilding: offrire strumenti di autodifesa femminile per aiutare le vittime a reagire alla violenza. E se credete sia impossibile, leggete la testimonianza di una donna che c’è riuscita.

Reagire alla violenza psicologica? Si può!

Ecco una testimonianza su come si possa reagire alla violenza psicologica

Francesca: “Grazie al Wilding non sono più vittima”

Francesca, 31 anni, era da mesi vittima di soprusi da parte del suo fidanzato, con il quale conviveva. Aveva iniziato con le offese, gli insulti a sfondo sessuale. Poi era diventato fastidiosamente insistente nel pretendere di avere rapporti con lei, anche quando lei non desiderava. E infine era passato a prenderla a schiaffi. A calci. A lanciarle contro oggetti di casa. A leggere le sue mail al computer. A strapparle di mano il telefonino, per leggere i suoi messaggi. Lei non ce la faceva più. Aveva pensato mille volte di andarsene via, di denunciarlo. Ma non aveva mai trovato la forza. Si sentiva debole. Impaurita. Indifesa. Vittima. E’ bastato un solo incontro di Wilding, un corso di tre ore, perché iniziasse a cambiare.

“Ho sentito qualcosa muoversi dentro di me – proprio qui, nel petto” dice. Ha assunto una postura più eretta. Un atteggiamento più sicuro. Un tono di voce più determinato. Ha imparato a non nascondersi dal suo aguzzino. Ma ad affrontarlo con coraggio.

“La sua prima reazione è stata di choc – ricorda. – Non si aspettava proprio il mio cambiamento. Ha cercato di spezzare la mia ritrovata forza interiore accusandomi di essere diventata arrogante. E mi ha insultato più che mai. Mi ha anche tirato un ceffone. Io ho reagito tirandogli una raffica di colpi al viso. Lui è caduto a terra. Dolorante. Massaggiandosi il viso è rimasto in silenzio, impietrito. Poi, sempre in silenzio, si è rialzato. E borbottando si è gettato sul letto. “Non provarci mai più, o la prossima volta finisce peggio!” gli ho detto.

Dopo mezz’ora lui è venuto da me a capo chino. Ed è scoppiato in lacrime. Mi ha detto che gli dispiaceva di essersi comportato male con me, che mi amava, ma che si portava dietro traumi infantili e delusioni della vita adulta… L’ho lasciato parlare. Mi ha fatto pena. Gli ho detto che lo perdonavo. E che con me aveva comunque chiuso. Per sempre. Perché volevo un uomo con un carattere sano. Forte e solare. Che mi amasse nel modo giusto.

Oggi sono con un altro uomo. E sono felice. Il mio ex? E’ un po’ cambiato, dopo quella volta. Credo abbia imparato la lezione. Non mi risulta che si stia comportando male con altre donne. E’ diventato più tranquillo, più riflessivo. Credo che un corso di Wilding servirebbe anche a lui. Per imparare che essere forti non significa picchiare. Ma vincere la nostra parte oscura. Per diventare persone migliori.

Conclusione

In questo articolo abbiamo cercato di delineare alcuni elementi tipici della violenza psicologica. Il nostro desiderio è fornire gli elementi per dare a chi è vittima il coraggio di reagire. Ci auguriamo vivamente di essere stati utili. A volte basta riflettere su certi aspetti per trovare una nuova strada che ci permetta di uscire. Ma se una lettrice, leggendo, ha sentito l’impulso a reagire e poi si è sentita sommersa dalla paura e dall’insicurezza ed ha pensato “che lei mai ce la potrebbe fare”, ebbene, forse è il caso di venire e provare a farsi aiutare da un corso di Wilding. Reagire alla violenza psicologica si può.

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